Viscida come un serpente, ammaliatrice amante, fragile e ribelle. Lei bimba, sogna di diventare una ballerina. Sogni infranti, ancora una volta il contesto forgia la psiche. Chi siamo veramente? Siamo particelle di cellule impazzite, nutrite dal nettare del veleno, siamo isole di un arcipelago scomposto e frammentato.
Riccardo Monti in “Un giorno alla volta” racconta un amore tossico, intriso di vissuti e irrisolti, di apprendimenti e traumi. Siamo ciò che siamo, ciò che avremmo voluto essere, ciò che siamo diventati per resistere ed esistere. Siamo le nostre paure, i lati oscuri che fatichiamo a riconoscerci e a riconoscere. L’amore è puro, ad essere contaminate, da infiniti puntini di sospensione, sono le relazioni.
Chi siamo veramente? Lowen scriveva che il male del nostro secolo sarebbe stato il narcisismo. La mente umana è resistente alla sofferenza, spirito di sopravvivenza, l’edonismo salva in un mondo in cui a nessuno sembra importargli dell’altro.
Eppure la passione arriva e sradica ogni certezza e l’amore appare l’unico modo per sopravvivere alla paura della morte. Liberi ma schiavi del passato, delle esperienze, delle privazioni. Il mito struggente dell’amore romantico ripreso in chiave moderna. “Un giorno alla volta” è la storia di una vittima delle vittime, un circolo vizioso di vissuti e contesti di sofferenze che si tramandano di generazione in generazione. La colonna sonora incanta e ammalia. I contenuti spiazzano gettando nello sconforto del dubbio lo spettatore, Monti dice tutto e nulla, esacerbando il veleno dei vissuti.