“I racconti di Andrea Novembre” Renzo Buttazzo
Arrivo in moto, in una calda mattinata primaverile. Tra muretti a secco e ulivi secolari, disperso tra le campagne del leccese e celato da un rustico cortile, c’è l’atelier di Renzo Buttazzo: il maestro della pietra leccese. Titolo riduttivo per descrivere il suo lavoro e che sicuramente lui non amerà. Perché da Renzo si respira l’arte primitiva, primordiale, da cui tutto nasce.
La pietra leccese è per lui madre e sposa. Un incontro avvenuto sin dall’infanzia nei vicoli della Firenze del Sud dove il piccolo Renzo la sfiorava, la palpeggiava, imparava a conoscerla e ad amarla. Il matrimonio è stato celebrato nel 1982, quando scolpì il primo blocco di pietra e da allora continua ad essere un’unione felice.
La sua tana polverosa e sabbiosa è un gioco di luci con le calde cromie del panna, dove la rudezza degli attrezzi del mestiere si incontra con le forme morbide delle sue sculture, che lo hanno reso celebre in tutto il mondo. Lui è andato oltre l’artigianato, paradossalmente tornando indietro, e incanalando nelle sue opere il significato originario dell’arte, il mistero della vita: un ritorno all’età della pietra.
Renzo è un uomo limpido e come da ossimoro misterioso. Dopo anni che lo conosco mi sembra sempre che abbia la stessa età. Nominato Cavaliere dal Presidente Ciampi, lui non è certo uno che si da arie e invita chiunque a sedersi, mettendosi a raccontare della sua vita a metà tra artista e imprenditore di se stesso, delle cover dei più famosi magazine, dei giornalisti che secondo lui hanno decretato il suo successo e del ritratto che gli realizzò Paolo Castaldi di Superstudio che ancora tiene appeso.
Tutto ovviamente mentre il fedele cane Buio è accovacciato ai suoi piedi. Al momento dei saluti capisci di lui una cosa ancor più sorprendente, quando scostando una porta incastonata tra una siepe ti invita a scoprire un altro mondo artistico parallelo al suo. Piccolo spoiler: lui è il maschile, l’altro è il femminile.