Marzo 2020, il presidente del consiglio Giuseppe Conte, a reti unificate, comunica il lockdown per l’intera nazione: “Rimaniamo distanti oggi, per abbracciarci… domani”. L’insegnante che urla di accendere le telecamere, una video call con il capo che fissa gli obiettivi, il futuro è incerto per l’azienda. I bambini annoiati, litigano tra di loro, sono ingestibili, incertezza e paura. Quanto durerà tutto questo? In ventiquattro ore il nostro stile di vita è cambiato radicalmente. Le case, sino ad allora, erano caotici e fugaci dormitori. Si usciva al mattino per tornarci di sera. Il caldo “focolare domestico” era diventato una piazzola di sosta. Improvvisamente la casa è diventata: scuola, ufficio, palestra. Spazi ridotti, l’impossibilità di uscire, suddivisi per uno stile di vita che, in poche ore è diventato un lontano ricordo, tutto troppo stretto, come un maglione lavato a 90 gradi in lavatrice che tira da tutte le parti.
Come è cambiata da quel momento la nostra idea di casa? Nessuno voleva più correre il rischio di ritrovarsi in una situazione simile. Da quel giorno la suddivisione degli spazi fisici e mentali è totalmente cambiata, siamo cambiati noi, le case diventano uno specchio delle nostre esigenze. Le immobiliari hanno avuto un’impennata sul motore di ricerca. Una casa un po’ più grande qualche metro in più e delle stanze in più, desiderio di pace e tranquillità, il bisogno di non scontrarsi ogni giorno in un contesto troppo stretto. La casa è passata dall’essere bella all’essere confortevole, suddivisa per garantire ad ognuno la propria privacy. La pandemia ha cambiato le nostre vite e le abitudini, ha spazzato via quel senso di onnipotenza tipico degli occidentali: abbiamo fatto i conti con la vulnerabilità ed è in quel momento che le case sono ritornate ad essere “focolari domestici” in cui proteggersi da eventuali contatti. C’è stato un prima e un dopo e anche ed è in questo cambiamento che si collocano nuovi stili di abitazione, nessuno vuole più correre il rischio di non essere pronto.